Photo by Tim Samuel on Pexels (nota storica: il danno da fermo tecnico è stato per la prima volta riconosciuto negli anni ’50, ai taxisti, vittime di sinistri stradali, danneggiati – anche – dalla impossibilità di utilizzare il mezzo durante il periodo necessario alle riparazioni: cd: danno da lucro cessante)
Il danno da “fermo tecnico” del veicolo incidentato deve sempre essere provato o può essere considerato un danno in re ipsa (ossia un danno evidente “nel danno stesso”)?
Per la giurisprudenza si registra un contrasto irrisolto sulla prova del danno da fermo tecnico.
“Secondo un primo e più antico orientamento giurisprudenziale, il danno da fermo tecnico può essere liquidato anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo periodo di tempo, anche a prescindere dall’uso a cui esso era destinato”.
Questo orientamento si fonda sull’ipotesi in cui il proprietario di un veicolo a motore, dutante il tempo delle riparazioni, sopporta necessariamente una perdita economica (tassa circolazione-premio assicurativo-deprezzamento del veicolo)
(Sent. n. 2109/1972-Sentenza n. 13215/2015 ecc.)
Tuttavia, secondo un recente orientamento giurisprudenziale il danno da fermo tecnico non può considerarsi in re ipsa, quale conseguenza automatica dell’incidente.
(Cass. n. 20620/2015-Cass. n. 13718/2017-Cass. n. 18733/2016)
Infatti il danneggiato ha l’onere di dimostrare la spesa sostenuta per procurarsi un mezzo sostitutivo, ovvero deve provare la perdita di utilità economica sofferta per il mancato uso del bene.
(danno emergente: spese sostenute per aver utilizzato mezzi pubblici e/o di aver noleggiato un altro veicolo; lucro cessante: mancato guadagno professionale)
In considerazione di quanto sopra, pur essendoci un contrasto intepretativo, è sempre consigliabile provare e documentare, in maniera puntuale, il danno e le relative spese, al fine di vedersele riconosciute.